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Alessandra Lancellotti, che questa sera ho l'onore di presentare, ringraziandovi per l'ospitalità, è psicologo, psicoterapeuta, critico d'arte, life coach, talent scout, scrittrice, poetessa. È una cara amica, cui sono legato da amicizia di lunghissimo tempo. Con Alessandra abbiamo lavorato spesso insieme: qualche anno fa, è uscito con la casa editrice di cui sono titolare un suo libro di poesie, un piccolo e prezioso libro di poesie, «Sarai contenta madre» (2016); tre anni fa abbiamo scritto e pubblicato un volume, per noi importante, sulla storia del Morandi. Una storia, anzi, che va dal crollo del Morandi fino alla ricostruzione del ponte Genova San Giorgio, vicenda terribile e orgogliosa per la città di Genova. Abbiamo raccolto, nei nostri due libri, uniti in un cofanetto, fatti e testimonianze.

Ma questa sera sono a parlarvi di un altro aspetto della personalità e delle qualità di Alessandra Lancellotti. Lo accennavo: con «Ritratti d'Autore. Incontri di vita d'artista e opere», Alessandra Lancellotti si conferma critico d'arte e ci mostra non soltanto una straordinaria, acutissima capacità di penetrazione nelle vite degli artisti e in ciò che di esse si trasfonde nelle loro opere; ma anche un suo "stile" della critica d'arte, che prende le mosse dall'incontro con l'artista e che la include, quasi fosse – il suo – un viaggio dantesco, di conoscenza e sorpresa, colloquio, apprendimento o scoperta e, infine, presa di coscienza.

«Ritratti d'Autore», pubblicato da Athenaedizioni, è un bellissimo libro ed è un libro di successo, poiché, uscito per la prima volta nel 2011, ha avuto una riedizione ampliata quest'anno (2023). Nove sono gli autori che Alessandra Lancellotti incontra e racconta. Vi dico che cosa mi ha colpito – poi, appena dopo di me, meglio di me, sarà 'autrice a raccontarci del suo viaggio di scoperta. Il metodo, innanzi tutto. Freud aveva scritto di psicoanalisi e arte. Antonella Serafini, nella sua Prefazione, lo ricorda. Ci sono due saggi fondamentali nell'opera di Sigmund Freud dedicati all'indagine psicoanalitica dell'arte: il lavoro su Leonardo («Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci«, 1910) e quello sul Mosé di Michelangelo (1914), frutto del tanto a lungo desiderato soggiorno romano di Freud. Che cosa ci insegna Freud in questi suoi due lavori? Molto. Ma soprattutto un metodo: ci dice che i particolari sono importanti. Questo voglio dirvi: Alessandra Lancellotti, nel suo libro, recupera questo elemento. Anche per la sua indagine, per il suo libro, per lei stessa, i particolari sono importanti, nel senso che sono spesso rivelatori. Ma mi ha colpito – e credo che da lettori potrà colpirvi – anche lo stile della scrittura di Alessandra Lancellotti, che usa la penna proprio come i suoi artisti usano lo scalpello per dare forma al marmo (di solito quello, bianchissimo e puro delle cave di Carrara).

Cito quattro artisti, tra i nove che il libro presenta e commenta. Kan Yasuda (n. 1945), l'artista giapponese che si propone di rigenerare il mondo e che costruisce opere–monumento, che le progetta affinché convivano con la vita attorno – che nel contatto e nel tocco esprimano il loro senso intrinseco di levigatezza o di ruvidezza. Alessandra Lancellotti usa per lui termini quali: "purezza", "preghiera", "innocenza". È interessante ricordare che Kan Yasuda è diventato, come tutti gli artisti raccontati nel libro, italiano di elezione. Il racconto di «Ritratti d'artista» è, infatti, anche questo racconto di un'Italia della bellezza, dell'arte e del pensiero, baricentrica, Paese che, con la sua arte attrae e chiama arte – per la sua storia antica e rinascimentale, per come essa ha modellato il suo paesaggio, per il richiamo che il paesaggio esercita su di noi che l'abitiamo, "chiamandoci a essere" in un certo modo. Nel 1972 Yasuda vide la Pietà Rondanini di Michelangelo a Milano, Castello Sforzesco. Fu, per lui, come la chiamata di una vocazione.

E poi cito Beverly Pepper (1922-2020), artista del paesaggio. Per lei si parla di land art e di connective art. L'autrice l'incontra nella sua casa di Todi. Si fa raccontare di un itinerario — che diventa quello del lettore — da New York, di cui la Pepper era originaria, a Parigi, crogiolo di ogni arte, alla Roma della dolce vita, fino al buen retiro di Todi. Beverly Pepper, come Yasuda, ha avuto i suoi incontri rivelatori: per lei, non la Pietà di Michelangelo, ma la città cambogiana di Angkor Wat, dove natura e architettura, abbandonati ogni contrapposizione e contrasto, si sono fuse in una sola e nuova armonia. Beverly Pepper disegna sul paesaggio sculture che sono "ombelichi"; non si impone sulla terra, ma ne segue le caratteristiche e ne interpreta l'intuizione originaria (la "ghianda"), accrescendola con trame nuove.

Igor Mitoraj (1944-2014) Alessandra Lancellotti lo incontra prima come essere umano, quindi nelle sue opere. Come spesso fa, ci racconta di lui, della sua postura mentre le parla, della scomodità con cui tratta il suo corpo e di come non sorrida. Tanto la sua opera è sensuale e potente, tanto il suo corpo aspira a una pudica limitazione, che è quasi elisione. Nato vicino a Dresda, da madre polacca e padre francese di origine polacca, Mitoraj cresce senza genitori, deportati dai nazisti. Si trasferisce a Parigi nel 1968, viaggia in Messico e poi, alla ricerca di un suo stile, soggiorna in Italia, Grecia, New York, passando dalle rovine più mute alla città frenetica e insonne. Pietrasanta è, infine, la sua patria elettiva. Qui Mitoraj indaga e riflette sull'antichità. Sul mito di Er, che Platone ci racconta nella «Repubblica»: chi ha la fortuna o il talento di accedere a una scintilla di conoscenza superiore, ha il dovere di tornare indietro per riferirne agli altri della sua specie. Nessuno trova, scopre, crea per sé soltanto. Né nella creazione né nell'invenzione puó mai esserci egoismo. Ma — ci dice l'opera di Mitoraj — l' arte antica è frammento che si esprime con parole non intere. Comprenderla è difficile. Il nostro linguaggio è così: smozzicato, interrotto, incompleto di significante e significato. Si torna indietro, ma l'opera contemporanea — spezzata, decapitata o bendata — porta su di sé le cicatrici di uno sfregio. Non puó essere altrimenti.

Cito, infine, Giuliano Vangi (n. 1931), questo grandissimo della scultura italiana che riassume, nella sua opera, l'arte sumerica, l'espressionismo, l'arte medievale; che è così metafisico — ci spiega Alessandra Lancellotti — da potersi concedere una fisicità potente. L'autrice ne coglie un ritratto — quasi un'istantanea — mentre Vangi le racconta delle sue trilogie sacre. È un esempio di quel metodo di indagine di cui dicevo, proprio e personale dell'autrice, che prima di ammirare l'opera d'arte conosce e incontra l'essere umano che l'ha fatta. Giuliano Vangi, come tutti i veri artisti, schiva la magniloquenza, sta lontano dalla vanteria. Scrive di lui Alessandra Lancellotti: «Giuliano [delle sue trilogie sacre] ne parla come se avesse sfornato un pane dolce e buono, un atto di profonda com–passione: ne parla con naturalezza come un contadino parlerebbe della sua terra o l'apicoltore del suo miele» (pp. 94-95).


[Stefano Termanini | 18.10.2023]







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